Dipartimento di Astronomia
Università di Bologna
GUIDO HORN D’ARTURO Il fenomeno della “goccia nera” e l’astigmatismo (Pubblicazioni dell’Osservatorio astronomico della R. Università di Bologna, vol. I, n.3, 1922)
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CAPO I: ORIGINE DEL FENOMENO DELLA "GOCCIA NERA" E SUE FASI
Teorie precedenti - Questo fenomeno di deformazione dei profili, che l'occhio vede, in maggiore o minor misura e col voluto favor della luce e della distanza, intorno al luogo del contatto apparente o reale di due corpi qualsivoglia, si cominciò a studiare, per quanto se ne sa, nell'anno 1761, dopo il primo transito di Venere sul disco solare, osservato con mezzi strumentali adeguati (1). Quei primi osservatori lo chiamarono: «gutta nigra», (dark ligament, black drop, ligament noir, Tropfen, ecc.) e varie furono le ipotesi proposte per ispiegarlo; molti, credendo che il fenomeno fosse confinato nel cielo, gli attribuirono cause celesti, altri imputarono la sua origine agli strumenti d'osservazione: avrò occasione nel corso di questo studio, di ricordare ora l'una, ora l'altra delle dette cause, che m'accontento per ora di enumerare: 1) Irradiazione della luce solare; 2) Atmosfera del Pianeta; 3) Agitazione dell'atmosfera della Terra; 4) Diffrazione della luce e suoi effetti sulle immagini che si formano negli strumenti ottici; 5) Aberrazioni sferiche di obbiettivi ed oculari; 6) Imperfetto accomodamento dell'oculare; 7) Poliopia.
Dico subito che queste cause non vanno trascurate nello studio della «goccia», poiché ciascuna di esse, può produrre parzialmente qualcuno dei numerosi aspetti, che si riassumono con quell'unica parola, ma d'altro canto affermo, che la loro azione, pur simultanea, non è in grado di giustificare il complesso, ma logico succedersi di tutte le fasi, di cui più d'una sempre si sottrasse all'attenzione degli osservatori; quindi, per ricostruire interamente il fenomeno, conviene adoperare dati di varie provenienze, scegliendo dalle descrizioni degli astronomi questo o quel particolare, che essi videro con chiarezza, a detrimento di tutti gli altri.
Per compensare la rarità del fenomeno, reso ancor più raro dalle non sempre favorevoli condizioni atmosferiche, e dare agio all'astronomo di studiarne la natura, lo Struve suggerì di riprodurlo artificialmente, collocando lontano dall'osservatore dischi illuminati e dischi oscuri, sovrapponentisi convenientemente. Il più autorevole degli sperimentatori di questo metodo, G.van de Sande Backhuyzen (2), concluse dalle sue osservazioni telescopiche del transito artificiale, che la «goccia» dipendeva dalla diffrazione subita dalla luce nell'attraversare l'obbiettivo; il suo modo d'interpretare la cosa trovò tosto numerosi imitatori e seguaci ed oggi ancora, dopo quasi cinquant'anni, è accettato generalmente (3) il principio, che il fenomeno sia dovuto essenzialmente alla causa additata dal Backhuyzen. Alla mente del quale balenò anche 1'idea della poliopia, ma egli la ricorda solamente per annettervi un'importanza secondaria: Ich glaube mich deshalb berechtigt, zu constatieren, dass für mein Auge und für die von mir angewandten Fernrohre die Polyopie nur eine untergeordnete Rolle bei der Bildung des schwarzen Tropfens spielt » [Trad: « ... perciò mi credo autorizzato a constatare che, per il mio occhio e per i cannocchiali da me utilizzati, la poliopia giochi solo un ruolo subordinato per quanto riguarda la figura della goccia nera »] (4), e più innanzi: «.... glaube ich doch, dass die Diffraction die Hauptursache ist, und will deshalb auch bei den anderen Phasen des Venusvorüberganges seinen Einfluss bestimmen». [Trad: «... Io credo che la causa principale sia la diffrazione, e voglio perciò determinare il suo influsso anche durante le altre fasi del transito di Venere»] (5)
Ma se le esperienze fossero state eseguite senza il soccorso del telescopio, cioè coi dischi a portata dell'occhio nudo ed abolito così 1'intervenire della diffrazione strumentale, il fenomeno si sarebbe veduto ugualmente, ed i fautori della teoria della diffrazione sarebbero stati costretti a cercare un'altra causa, che come ora mi proverò a dimostrare, consiste in un difetto comunissimo della vista, cioè nell'astigmatismo.
Teorema di Sturm - L'effetto totale dei mezzi rifrangenti dell'occhio astigmatico può essere fornito, come per l'occhio sferico, da un'unica superficie ideale, collocata a 2 mm. circa dietro alla faccia anteriore della cornea (occhio ridotto). Questa superficie ideale presenta solitamente, nell'occhio astigmatico, il raggio di curvatura massimo in una sezione non molto inclinata rispetto la linea degli occhi, il raggio minimo, nella sezione normale alla precedente; è più raro il caso, in cui la sezione di raggio minimo giaccia nel piano della linea degli occhi: si riscontrano naturalmente anche le direzioni oblique, ferma restando generalmente 1'ortogonalità tra le sezioni di curvatura massima e minima.
La teoria delle caustiche dovuta allo Sturm (6) insegna, che, se il raggio principale d'un fascio, emanato da un punto infinitamente lontano, incide normalmente nel punto O (fig. 1) di una superficie torica, limitata circolarmente da un diaframma, pur esso centrato in O, ove s'incontrano ad angolo retto le sezioni di curvatura massima AB, e minima CD, i raggi del fascio si rifrangono in modo, da convergere in due rette focali, passanti per f ed F, tra loro ortogonali, e giacenti, l'una nel piano della sezione di curvatura minima CD e contenente il fuoco della sezione di curvatura massima AB, l'altra, giacente nel piano della sezione di curvatura massima AB e contenente il fuoco della sezione di curvatura minima CD. In piani perpendicolari a PP’ ma non passanti per f od F le immagini saranno generalmente ellissi con l'asse maggiore parallelo a CD, se a sinistra del punto T; con 1'asse maggiore parallelo ad AB, se a destra del punto T. Nel piano passante per T l'immagine sarà circolare, trovandosi il punto T a metà strada circa tra f ed F, ma più vicino ad f.
Ora, tenendo conto che nel mirare la luce vivissima il diametro della pupilla si riduce automaticamente al minimo, avvicinandosi così alla condizione ideale del teorema di Sturm, questo potrà esser applicato al caso materiale d'un occhio astigmatico, e se la superficie dell'occhio considerato ha la curvatura massima parallela alla verticale, la minima all'orizzontale, (come nella fig. 1) sulla sua retina l'immagine del punto luminoso infinitamente lontano assumerà la forma d'un segmento rettilineo, e precisamente: se la retina, normale a PP', passerà per F, il segmento sarà verticale, se per f, sarà orizzontale.
Deformazione apparente di corpi celesti - Veduta la forma che assume sulla retina dell'occhio astigmatico l'immagine d'un punto, sarà facile costruire quella d'un astro, che si proietti sulla sfera come un disco circolare. Invece d'un circolo 1'immagine di esso sarà la fig. 3, o la fig. 4, a seconda che la retina contenga la retta focale F oppure la f. Le due semicirconferenze DBD' e DCD', che costituiscono una circonferenza unica, quando abbiano il centro comune in O, concorrono con tutta la loro lunghezza e senza deformazione alcuna, a costituire il profilo dell'immagine deformata, quando i loro centri sieno portati rispettivamente in O' ed O"; ciò che manca per chiudere il profilo dell'immagine deformata, consiste in due rette RS ed R'S', aventi la lunghezza della retta focale, e tangenti al circolo nei punti D e D'; in altre parole l'immagine deformata ARSA'S'R' si ottiene immediatamente dal circolo, supponendo che ogni punto di esso, dilatandosi, sia in un senso, sia nel senso opposto, parallelamente alla retta AA' (che diremo linea della deformazione radiale massima), si trasformi in un segmento rettilineo, lungo quanto la retta focale.
Ma un esame più attento del fenomeno dimostra, che la deformazione provocata dall'astigmatismo, è subordinata ancora al rapporto tra l'intensità luminosa dell'immagine e quella dello sfondo, su cui si projetta, ed ecco perché: nella fig. 5, quale apparirebbe all'occhio sferico un disco luminoso su sfondo nero, distinguiamo un'area bianca ed una scura, confinanti nel circolo comune BDCD'. La dilatazione prodotta dall'astigmatismo, la cui linea di deformazione radiale massima sia AA', porterà il circolo BDCD', tanto in BECE' fig. 6, e sarà il nuovo confine esterno dell'area chiara dilatata, quanto in BFCF', e sarà il nuovo confine interno dell'area scura, pur essa dilatata, cosicchè avremo la regione interna BFCF' dotata della bianchezza originale, e la regione esterna a BFCF' della nerezza originale, mentre quella compresa tra le due curve BECE' e BFCF' presenterà una tinta mista in parti uguali del bianco e del nero; e se lo splendore del disco luminoso vincerà la scurità dello sfondo, l'occhio astigmatico, mirando alla fig. 5 la vedrà deformarsi nella fig. 7, se viceversa sul debole lume della regione interna prevarrà immensamente la nerezza circostante, il medesimo occhio vedrà la fig. 5 deformarsi nella fig. 8. Soltanto occhi particolarmente sensibili riusciranno a distinguere anche la regione di tinta intermedia, contenuta tra il nero dello sfondo ed il chiaro dell'immagine. Di questo prevalere della luce sull'oscurità, l'astronomo ha due esempi insigni, sia nell'immagine solare che si disegna sullo sfondo scuro (attraverso l'oscuratore) del cielo, sia nella faccia scura dei pianeti inferiori, proiettantisi sul disco solare: in entrambi i casi la prepotente luminosità solare soverchia le adiacenze buie, e per la medesima causa il disco del Sole appare dilatato, e quello del Pianeta contratto. Ed affinché questo fenomeno non si confonda con quello volgarmente chiamato della ”irradiazione”, ripeto che le deformazioni di cui io parlo presentano, in senso radiale, i loro massimi ed i loro minimi, disposti simmetricamente secondo l'astigmatismo dell'osservatore.
Contatti apparenti di corpi celesti - Sia AA' fig 11 (7) la linea della deformazione massima e coincida con la congiungente dei centri del Sole e del Pianeta; i limiti reali dei due dischi sono tracciati con le linee continue S e V, i limiti apparenti, con i terminatori S' e V', i latenti con le segmentate S" e V". Chiamo limiti apparenti, quelli veduti dall'occhio astigmatico (in luogo dei limiti reali, veduti soltanto dall'occhio sferico), e chiamo limiti latenti S" e V" quelli che non si vedono, finché i due dischi sono distanti tra loro, come nella fig. 11, ma che si manifesteranno nel corso del passaggio, come precursori, o come postumi del contatto, come ora dirò. I quattro spessori SS', SS'' VV' e VV'' sono identici nel caso di corpi, ad uguale distanza dall'osservatore, o praticamente tali, come quelli celesti.
Sappiamo che le zone comprese tra i limiti S'S" e V'V" hanno un'intensità luminosa che gareggia con quella del disco solare, ma quando, avviandosi i due corpi verso il contatto, il limite latente V" abbia superato il latente S”, fig. 14, la lunula compresa tra questi due limiti, essendo mista di due parti di scuro e d'una sola di chiaro, risulterà notevolmente più scura del suo intorno (pur non riuscendo ad uguagliare in oscurità né lo sfondo del cielo, né la faccia non illuminata del Pianeta) e questa lunula, limitata, a sinistra di chi guardi la fig. 14, dal profilo del Pianeta, a destra, dal profilo del Sole, sarà tutta circondata dalla luce.
Seguendo il Pianeta nel suo moto di egresso dal disco solare, arrivato che sia il punto più avanzato del limite latente V" a contatto con S (e per conseguenza V con S'') fig 18, vedremo istantaneamente stabilirsi la continuità tra le tre regioni scure: 1) sfondo del cielo, 2) lunula o lembo staccato, 3) disco del Pianeta, per il simultaneo apparire di due segmenti rettilinei identici "a", che hanno conferito a questa fase, e con essa a tutto il fenomeno che trattiamo, il nome di «legamento nero» o «goccia nera». Questa fase è giustificata perfettamente dal teorema di Sturm, secondo il quale, ogni punto luminoso produce sulla retina dell'astigmatico, non già un'immagine puntiforme, ma rettilinea, e per conseguenza, il punto più avanzato del lembo staccato del Pianeta, coprendo un punto del bordo reale del Sole, sulla retina verrà a mancare non già un punto luminoso, ma un segmento luminoso di lunghezza 2a, giacente sulla linea di deformazione massima AA' e col punto di mezzo dove V" tocca S; lo stesso dicasi, sia per ciò che riguarda la lunghezza, sia la giacitura, del segmento luminoso, col punto di mezzo dove V tocca S" che verrà a scomparire, quando il punto più avanzato del bordo reale del Pianeta, sarà occultato dal profilo destro del lembo staccato.
Progredendo il Pianeta nello stesso senso, un numero sempre maggiore di punti luminosi dei bordi reali dei due corpi S e V, verranno occultati, ed alle corrispondenti immagini di segmenti luminosi si sostituiranno altrettanti segmenti oscuri, come lo mostra la fig. 24; finché il Pianeta, prima d'esser giunto col suo centro al lembo vero del Sole fig. 25, assumerà la forma caratteristica della "D" maiuscola; e volendo scortare il Pianeta fino al suo estremo nereggiare sul disco del Sole, si giungerà, attraverso varie fasi di facile costruzione geometrica, all'occultazione d'un punto unico del lembo vero solare, fig. 25 bis, in cui riappare uno dei segmenti rettilinei della fig. 18.
Nelle ultime sei figure testé descritte, s'era ammesso che la linea della deformazione massima passasse per i centri di ambidue i dischi, ma questo non sempre si verificherà, ed ammettendo che la retta AA' sia comunque inclinata rispetto alla congiungente dei centri, in una fase avanzata del fenomeno, il legamento assumerà l'aspetto obliquo della fig. 33, che ritroveremo in seguito nelle descrizioni degli osservatori Un caso speciale si presenterebbe con la posizione ortogonale della linea delle deformazioni massime rispetto alla congiungente dei centri, fig. 31; allora, trovandosi il Pianeta emerso dal Sole per più di mezza circonferenza, si comincerebbe a notare, meglio che col Pianeta tutto immerso nel Sole, la forma schiacciata, della porzione ancora visibile, fig. 31.
Aureole - Finora avevamo immaginato che lo sfondo del cielo e la faccia non illuminata del Pianeta, apparissero d'un egual grado di nerezza, attraverso il vetro oscuratore, con cui si protegge l'occhio dall'eccessiva luce del Sole, ma in alcuni casi, p. e. usando un oscuratore leggiero, o togliendolo del tutto, quando il Sole sia molto basso sull'orizzonte, o velato da nebbia, lo sfondo del cielo appare notevolmente meno scuro della faccia non illuminata del Pianeta, e in questi casi, trovandosi parte del disco del Pianeta immerso, parte emerso dal disco solare (tutto fuori del Sole, il Pianeta non fu mai visto con sicurezza, per quante ricerche siano state fatte), intorno alla porzione emersa si formerà per l'occhio astigmatico una lunula, di luce mista, più chiara del Pianeta e più scura dello sfondo, come nella fig. 37, tale da dare all'osservatore l'impressione, che il disco del Pianeta sia circondato da una atmosfera. Per la lunula opposta a quella ora considerata, VV", fig. 37 abbiamo sempre ammesso che la luce del Sole fosse tanto viva da annullare l'effetto della tinta scura del Pianeta, ma in alcuni casi, occhi astigmatici sensibilissimi, riusciranno a distinguere la differenza pur lieve tra la luce solare e quella della lunula V'V", e riterranno il Pianeta, specialmente quando sia tutto immerso nel disco solare, circondato da un'aureola, che come vedremo, altri giudicarono più debole, altri più viva dello splendore stesso del Sole, tanto da brillare sopra di esso.
Quando naturalmente la linea della deformazione massima AA' sia inclinata rispetto alla congiungente dei centri, allora 1'aspetto dell'aureola, che cinge il Pianeta nella parte emersa, è quello della fig. 38.
CAPO II: CONFRONTO CON LE OSSERVAZIONI
Lembo staccato - Questa fase, a differenza di tutte le altre, è quella che fu riconosciuta distintamente da un numero esiguo di osservatori; il primo accenno che se ne incontra è dovuto al Pingré, il quale, avendo assistito tanto al passaggio di Venere del 1761, quanto a quello del 1769, si meraviglia di non rivedere in quest'ultimo, le medesime apparenze ond'era stato spettatore nel primo. Ecco le sue parole (8): « At the exit of Venus in 1761, the limbs, being not yet in contact, and even sensibly distant asunder, I saw as it were a dark spot detach itself from Venus, and gain the limb of the Sun; ... at which instant I estimated the internal contact. Many have this year seen the same phaenomenon at the total entry of Venus. I was in expectation of it; neither I or my associates perceived any such thing ».
Sebbene la descrizione di questo salto della « dark spot » lasci un po' perplesso il lettore, tuttavia si direbbe che egli abbia veduto precisamente il lembo staccato, e, tosto dopo, nel subitaneo formarsi della goccia, abbia giudicato che la « spot » raggiungesse il lembo solare, per moto proprio.
La seconda testimonianza, in ordine di tempo, e questa molto più esplicita e confermata anche da un disegno, che riproduco nella Tav. III fig. 15 è dovuta al Wilson, osservatore del passaggio di Venere del 1874 a Mornington (Australia). Il lembo staccato è raffigurato da un segmento rettilineo che egli descrive così: (9) « there first appeared a small dark object flickering backwards and forwards between Venus and the edge of the Sun ».
Nel passaggio successivo dell'anno 1882, osservarono la fase del lembo staccato Stuyvaert e Lagrange, astronomi belgi, operanti l'uno nel Texas, l'altro nel Cile (10). Il disegno dello Stuyvaert (11) non accompagnato da descrizione verbale è riprodotto nella fig. 16 e mostra chiaramente il lembo del Pianeta, interamente circondato dalla luce solare; lo stesso dicasi del disegno del Lagrange (12) fig. 17, accompagnato dalle parole (13): « Un filet lumineux vient couper la goutte noire. Le disque de Venus semble se separer du bord du Soleil, mais entre ce disque et le bord il y a un filet noir à peu prés concentrique avec le Soleil ».
In questi due ultimi disegni, pregevolissimi per la loro rarità e che confermano, senza lasciare ombra di dubbio, 1'apparenza del lembo staccato, si aspetterebbe, secondo la teoria, che essi mostrassero nel bordo convesso della lunula la curvatura del Pianeta, ed in quello concavo la curvatura del Sole, mentre l'uno e 1'altro presentano entrambi i bordi della lunula ugualmente curvi, e cioè nel primo disegno tutt'e due curvature equivalgono a un di presso a quella del Pianeta; nel secondo, tutt'e due a quella del Sole.
Finalmente l'ultimo accenno a questa fase che, nessuna delle teorie proposte sarebbe in grado di giustificare, proviene da J. Tebbutt, infaticabile osservatore di transiti, il quale, senza tuttavia illustrare le sue parole con un disegno, descrive le apparenze del I° contatto interno così (14): « ... Just at the time, when I expected geometrical internal contact to take place, the planet became somewhat pear-shaped, its limb being connected with that of the Sun by a triangular black ligament, whose base was on the planet, and its apex on the solar limb.... The ligament suddenly broke at the same time and for fully 14 seconds the vibrations were so great that the triangular ligament was repeatedly seen separated both from the disc of the planet and the limb of the Sun ». Io inclino a credere piuttosto che sia stato precisamente lo spettacolo straordinario e quasi incredibile del lembo staccato a suscitare nell'osservatore l'impressione d'un'atmosfera tanto agitata; altrimenti, in tale perturbamento meteorologico, gli dovrebbe esser riuscito impossibile 1'osservare, pochi secondi prima, con tanta precisione, la fase del legamento, e rilevarne anche la forma triangolare, e la posizione della base e del vertice.
V'è poi un gran numero d'osservatori, forse la metà di quelli la cui descrizione ho potuto vedere, (vedi la Tabella di pag. 43), che, pur distinguendo almeno due fasi del fenomeno, cioè: ì) contatto geometrico, 2) apparire (o scomparire) del filetto luminoso, (vale a dire la definitiva separazione dei due dischi) e dando per esse fasi, momenti diversi, talora con intervalli superiori al minuto primo di tempo, non parlano nè di goccia, nè di legamento, ma soltanto di ombre, che tentano di spiegare in varie guise e che io classificherei nella fase del lembo staccato, la cui vera natura i pochissimi di sopra citati ebbero la fortuna di riconoscere. Ecco alcuni saggi di queste descrizioni delle cui analoghe si potrebbero riempire pagine e pagine.
H. C. Vogel, osservando nel 1882 a Potsdam 1'ingresso di Venere sul disco solare con un refrattore di 30 cm. d'apertura ed ingr. 120 (15), dopo aver notato tra il Sole ed il Pianeta il filetto luminoso (ein ganz feiner Lichtfaden) continua: «Von Truebung zwischen Venus und Sonnenrand war zu der Zeit keine Spur sichtbar; sie bildete sich erst kurze Zeit darauf, war breit und dunkel am Sonnenrande, weniger breit und weniger intensiv an der Peripherie der Venus. Diese Truebung verschmae1erte sich in dem Maasse als die Venus weiter eintrat, und verschwand ziemlich rasch. Eine Tropfenbildung fand nicht statt ». E questa non è altro che la definizione del lembo staccato, che s’assottiglia a mano a mano che scema l'area formata dalla sovrapposizione dei lembi latenti. Simile alla precedente la narrazione di Jas. Williamson, Direttore dell'Osservatorio di Kingston, che osservò nello stesso anno l'ingresso di Venere sul disco solare, ad un Equatoriale di Alvan Clark di 6 1/4 poll. (16): «For a little while after”, (dopo cioè quello che egli aveva giudicato il contatto geometrico), « the limbs seemed slightly to separate, a dark shade occupied the narrow interval between them, extending a little way on each side of the former points of apparent contact.... there was nothing of the so called black drop, but only the dark shade already referred to ». E dell'egresso dice: « The dark haze seen at ingress in the morning began at this time to be again observed at egress, but the interval during wich it continued, and discontinuity was noted, was much shorter than in the forenoon ».
La dichiarazione di non aver veduto, nè la goccia, nè distorsioni dei dischi si legge chiaramente anche nel cenno di Dunér e Lindsted sul passaggio di Mercurio del 6 maggio 1878 (17), Osservato a Lund: « Eine Verzerrung des Bildes oder cine Tropfenbildung war diesmal ebenso',venig zu sehen wie beini Durchgange von 1868» . Però entrambi dànno per il momento del contatto interno due tempi:
Lindstedt |
Dunér | |
Contatto geom. | 4h 06m 39,0s | 6m 41,0s |
Filetto luminoso. | 6m 52,0s | 6m 52,0s |
Evidentemente se il contatto geometrico ebbe luogo a 6m 39s rispettivamente a 6m 41s , esso, tredici od undici secondi dopo era già superato, ma gli osservatori non avendo ancora veduta luce tra i due dischi, s'indugiavano nel dichiarare avvenuta la separazione. E si potrebbe citare tanti altri casi con intervalli maggiori, durante i quali, tra i due bordi, gli Osservatori vedevano ombre incerte, che prolungarono la durata del contatto financo a 3 minuti primi di tempo (18).
"Goccia,, e "Chinaman's cap,, - Ogni forma od ombra, apparentemente estranea, che si mostri tra i due dischi e ne perturbi il contatto geometrico, vien chiamata dagli osservatori genericamente: « legamento », ma questa espressione spetterebbe in realtà ai segmenti rettilinei della fig. 18, poichè essi soltanto hanno un effetto congiuntivo dei due dischi e sembrano veri e propri vincoli, tesi improvvisamente tra le regioni più vicine dei due astri, quando venga occultato, per l'occhio astigmatico, un punto luminoso dell'una o dell’altra periferia. All'istantaneità di questa fase fu assegnato giustamente dai primi osservatori il nome di « fulmen », tanto più rimarchevole, in quanto il rimanente del fenomeno si svolge con notevole lentezza, e senza salti.
Delle numerosissime illustrazioni della « goccia », alcune consistono nel solo segmento rettilineo, altre, in una barretta per lo più ingrossata all'estremità più vicina al Pianeta; quest'estremità viene a fondersi col lembo avanzato del Pianeta, conferendo a tutta l'immagine quella forma di pera, più volte ricordata nelle narrazioni dei diversi passaggi di Venere e di Mercurio.
Generalmente la direzione del segmento rettilineo è giudicata dagli osservatori giacere sulla congiungente dei centri dei due astri, ma ciò, se qualche volta può verificarsi, non è per nulla necessario, poichè dipende dalla direzione della linea di deformazione massima dell'occhio osservante, che può giacere comunque; tuttavia io non conosco altro disegno che quello del Weinek (19), qui riprodotto nella fig. 19 in cui il legamento sia inclinato notevolmente rispetto alla congiungente dei centri, come nella figura teorica 33, della Tav. IV.
La fase del lembo staccato attraversato da parte a parte dal segmento rettilineo, fig. 18, fu vista e disegnata quasi esclusivamente da astronomi inglesi, che a quest'aspetto imposero il nome di “Chinaman's cap”. Scelgo dai disegni del Morris (20), che osservò il passaggio di Venere del 1874 a Glenrowan (Australia), (con un riflettore di Browning di 8 1/2 poll) la fig. 20, qui alquanto ingrandita; essa è l'unica nella letteratura. rispondente esattamente alle esigenze della teoria astigmatica, per questa fase. Peccato che il Morris sia stato così parco di parole e non si sia indugiato a commentare questo suo eccellente disegno, eloquentissimo del resto per se medesimo.
Più simili al cappello alla cinese, ma meno al vero aspetto della fase, sono i disegni di Ellery, Moerlin, e Russell, anche essi osservanti in Australia lo stesso passaggio del 1874 (21). Vedi le fig. 21, 22, 23, in parziale accordo con la teoria. Nelle fig. 21, 22, si nota 1'assenza del segmento più vicino al bordo solare, nella fig. 23 quello più vicina al Pianeta. quest'ultima mostra però meglio il lembo staccato.
Alla stessa fase della fig. 18 allude senza dubbio l'astronomo Leygue, che nel passaggio di Venere del 1882 rilevò tra i due dischi delle frangie scure (22): « Ces franges etaient traversées par un ligament noir tante que le contact n'avait pas lieu et elles devenaient continues à ce moment ».
Ottundersi ed acuirsi del lembo planetario - Queste due fasi che potrebbero chiamarsi opposte, sono raffigurate nelle fig. 25 e 31 (Tav. IV) e si ottengono con semplice costruzione, tenendo conto dell'astigmatismo dell'osservatore, la cui linea di deformazione massima s'immagina, per la fig. 25 lungo la congiungente dei due astri, per la fig. 31 invece, normale ad essa. Della prima forma, che qualcuno chiamò la "D" majuscola, si trovano vari esempi; la fig. 29 è dovuta al Huggins che la rilevò durante il passaggio di Mercurio dell'anno 1868 e la descrive cosi: (23) “ The spot (cioè il disco del Pianeta) appeared distorted, spreading out to fill up partly the bright cusps of the Sun's surface between the planet's disc and the sun's limb. This appearance increased as the planet went off the sun, until when the disc of the planet had passed by about one third of its diameter, it presented the form represented in the diagram in wich the margin of the disc, from points at the end of a diameter parallel to the Sun's limb, instead of continuing its proper curve appeared to go in straight lines up to the limb, thus entirely obliterating the cusps of light, which would otherwise have been seen between the planet and the limb ». Dalla quale descrizione risulta molto chiaramente la progressiva invasione delle cuspidi solari luminose da parte della “goccia”, sempre più grossa durante 1'egresso del Pianeta. Dello stesso passaggio di Mercurio (1868) riproduco altri quattro disegni della forma "D”, dovuti a W. T. Lynn (24), G. S. Criswick (25), J Carpenter (26) e E. J. Stone (27) fig 30, 26, 27, 28; i tre ultimi, più conformi alla teoria, mostrano come nella costruzione geometrica, le rientranze al loro posto.
Altri accennano alla fase senza descriverla più minutamente, p. e. il Russell (28) (Mercurio 1881): Mercury assumed a "D" shape » Si noti che le osservazioni fin qui citate della forma "D" si riferiscono a Mercurio, però il Liversidge (29) notò la stessa apparenza anche durante il passaggio di Venere del 1874: “ ... Venus appeared to be nearly one third off the Sun's limb; there was just the slightest trace of distortion or tending to the D-form, retained until the planet was half off; hardly perceptible ». Più rara è l'osservazione della fase opposta, illustrata nella fig. 31. Nel passaggio di Mercurio del 1878 essa fu veduta, all'ingresso, dal Geelmuyden (30) dell'Osservatorio di Cristiania con un rifrattore di 7 poll. Egli la descrive cosi: « Einschnitt als Spitze gesehen, nach einer Skizze einen Winkel von etwa 120° einschliessend». Nel passaggio di Mercurio del 1868 con uno strumento di 4 poll. la vide invece all'egresso l'Oppolzer (31) e dice « Den Ausschnitt den die Scheibe des Mercurs eine Minute vor der auesseren Beruehrung in der Sonnenscheibe bildete, schien nicht entsprechend einer runden Scheibe, sondern sehr merkbar conisch, und blieb so, kleiner werdend, bis zum Moment des Verschwindens ».
La fig. 32, illustra l'osservazione eseguita a Woodford dal Vessey (32), (Venere 1874); oltre allo schiacciamento, in questa si vede anche l'aureola, che egli chiama « halo », di cui si discorrerà nel prossimo capitolo.
Il Morso di Faravella che partecipò alla spedizione italiana in India, guidata dal Tacchini (33), riscontrò il fenomeno da noi rappresentato nella fig. 25 bis: « In questo istante (primo contatto esterno) non mi parve di vedere un segmento circolare sul bordo dei Sole, ma un'intaccatura a guisa di punta che ben presto sí convertì in un arco circolare ». E parlando dell'estremo lembo del Pianeta, avviantesi ad uscire dal disco solare: «... la fase diminuì gradatamente e, ridotta piccolissima, pareva riprendere la forma di punta come nel primo contatto, ecc.».
Aureola del Pianeta immerso - Il disco del Pianeta, tutto immerso nel Sole, pur deformandosi per effetto dell'astigmatismo, non cessa di essere una immagine simmetrica, fig. 11; la sovrapposizione dei lembi scuri del Pianeta e dello sfondo luminoso del Sole dà luogo ad una specie d'aureola, di spessore massimo lungo la linea di deformazione massima e nullo in direzione ortogonale ad essa. Quest'aureola non può avere lo splendore del Sole, ed è notevolmente meno scura del Pianeta, tanto che da molti fu presa per la sua atmosfera, illuminata posteriormente dalla luce solare. Qualcuno la giudicò anzi più luminosa del Sole, mentre al contrario altri non la videro affatto ed altri infine, meno lucida del Sole o di colori diversi, arancione, violetto, ecc.
Che l'aureola potesse sembrare più lucida del Sole, lo attesta con tutta la sua autorità l'Huggins (34), che ebbe occasione di vederla, con un telescopio di 8 poll. (ingr. 120-220) durante il passaggio di Mercurio del 1868: « Whilst carefully examining the immediate neighbourhood of the spot (il disco del Pianeta) for the possibile detection of a satellite, I perceived that the planet was surrounded with an aureola of light, a little brighter than the solar disc ». E più innanzi: « The aureola was not sensibly coloured, and was only to be distinguished from the solar surface by a very small increase of brilliancy ».
Cito ancora il periodo con cui l'Huggins chiude il suo commento all'osservazione dell'aureola e ricorda fenomeni simili, apparsi in transiti precedenti al 1868: «Similar phaenomena have been observed at some former transits. A sort of ring of faint light was seen by Plantade at the transit of 1736; also by Proserpin; also by Flaguergues in 1786, and in 1789 and 1799. He calls it « an anneau lumineux ». Mechain Messier, Fritsch, and Seyffler observed a similar phaenomenon. It is also described by Schroeter and Harding during the transit of 1799. In 1832 Dr Moll saw it as « a nebulous ring of a darker tinge approaching to a violet colour ». Some of these observers appear to have considered the aureola to be slightly brighter, and others as in a small degree darker than the sun ».
L'aureola più lucida fu veduta anche dal Browning (35) « slightly brighter than the solar disc ». Cosí pure il Downing nel passaggio del 1878: « An appearance of a ring slightly brighter than the sun was visible round the planet ». (36) Non solo intorno a Mercurio come i precedenti, ma anche intorno a Venere; p. e. il Krone (37): «Jetzt schwebte die kleine Venusscheibe frei in der von jetzt an laengere Zeit hell leuchtenden Sonnenscheibe, rings umgeben von einem heller als die Sonnenflache leuchtenden Lichtkreise ».
Karlinsky (38) e Pohl (39) la videro meno lucida del Sole, Borrelly(40) « grisátre », Gilbert (41) « violetta». Evidentemente, se il fenomeno dipende dall'astigmatismo, l'aureola deve apparire più chiara del Pianeta e meno lucida della superficie solare; tra 63 astronomi che accennano ad essa, nove soltanto la videro più lucida; ad undici si mostrò decisamente meno lucida, mentre gli altri si astengono da ogni apprezzamento sull'intensità luminosa della medesima.
Soltanto il Vessey illustrò con la fig. 32 la diversità degli spessori dell'aureola digradanti simmetricamente dal massimo al minimo; Walter Pye(42) trovò che l'aureola non era concentrica al disco del Pianeta, e dice: «the ring being narrower (al bordo di Mercurio) on the side next the sun's limb ».
Si noti ancora nella Tabella di pag. 43 la maggior frequenza di osservazioni dell'aureola intorno a Mercurio che non intorno a Venere, mentre si verifica l'opposto per l'aureola, onde appare circondato il Pianeta fuori del Sole, di cui si discorrerà nel prossimo paragrafo.
Ma se la luce solare soverchia decisamente il buio dei Pianeta immerso, l'aureola non si distinguerà dallo sfondo luminoso ed il Pianeta apparirà deformato simmetricamente come nella fig.11; il disco non piú circolare apparirà come un ovale. Le fig. 12 e 13 dovute al Mayer (43) ed al Bayley (44) mostrano chiaramente questa forma allungata.
Nessuno meglio di B. Ferner (45), descrisse col minor numero di parole e maggior precisione lo spettacolo, cui egli stesso assistette nel 1769, dell'estremo trasformarsi dell'immagine scura di Venere, in procinto di sciogliersi dal legamento che la tratteneva e mostrarsi libera e tutta immersa nel sole: « The diameter of Venus, which was perpendicular to the sun's limb appeared the greatest while Venus was passing over the sun's limb; but after Venus had passed the Sun's limb, the same diameter appeared the smallest; so that Venus presented himself in both these cases under an oval form, but in contrary directions ». Dove si vede la medesima causa produrre successivamente le fasi della « goccia » e dello schiacciamento, rappresentate dalle fig. 24 e 11.
Nell'ultimo passaggio di Mercurio dei 1914, gli astronomi dell'Osservatorio di Greenwich misurarono sotto vari angoli di posizione i diametri del Pianeta, immerso nel Sole, senza trovarvi differenze sensibili; (non dicono come tenevano la linea degli occhi, rispetto ai fili micrometrici elemento essenziale in queste misure), però il Jonckheere (46), parlando anche dei suoi colleghi dice: « At 22h 50m Mr. Bryant observed that the horizontal diameter of the planet looked the smaller. At 0h 5m Mr Furner was of the opinion that the identical diameter appeared the larger and I had personally the same impression. This may be an optical illusion ».
Delle misure micrometriche dei diametri di Mercurio, prese dagli astronomi belgi, con riguardo alla posizione della linea degli occhi si dirà più diffusamente a pag. 47.
Aureola del Pianeta emerso - Per quanti tentativi sieno stati fatti, nessuno è riuscito a vedere con sicurezza il Pianeta nella sua congiunzione inferiore, se almeno un piccolo lembo di esso, mordente il Sole, non ne abbia tradito la presenza; guidati allora dal segmento oscuro, alcuni astronomi videro il lembo supplementare proiettarsi sul cielo, circondato da una debole luce.
L'astigmatismo dell'osservatore rende ragione di questa luce, ogni qualvolta il disco del Pianeta appaia più scuro dello sfondo del cielo, caso abbastanza frequente usando oscuratori poco intensi.
Quindi ha luogo (come s'è detto per la fig. 37) la formazione d'una regione, contigua tanto al disco quanto allo sfondo del cielo, meno scura del disco, ma meno lucida del cielo; all'astigmatico, il Pianeta apparirà allora circondato da un'aureola, che giudicherà chiara rispetto al Pianeta.
La regione dei lembi sovrapposti non è un anello circolare, ma presenta come nella fig. 37 uno spessore massimo lungo la linea di deformazione massima ed uno spessore praticamente nullo nella direzione ortogonale a quella. La forma di lunula, che rivela la vera natura dei fenomeno è confermata ampiamente da moltissime informazioni che s'incontrano negli annali astronomici, ove l'apparenza è attribuita generalmente all’atmosfera del Pianeta. La fig. 40 riproduce il disegno del Lagrange (47), che si riferisce all'egresso di Venere dal disco solare nel transito del 1882, ed è descritto con le seguenti parole: « Le bord exterieur de Venus est eclairè; l'image est admirable et les cornes parfaitement nettes ».
Ma la presenza dello spessore massimo della lunula sulla congiungente dei centri è un puro caso, mentre generalmente la linea della deformazione massima formerà con la la congiungente un angolo qualsivoglia, generando aureole asimmetriche, come lo mostrano la fig. 39 dovuta ancora al Lagrange e le altre fig. 41, 42, 43 tolte dalle descrizioni dei Belfield (48) e del Barnard (49). Della fig. 39 il Lagrange dice: «On voit le disque de Venus sur le fond du ciel, a gauche et en bas une aureole lumineuse blanche due sans doute à l'eclairement de l'atmosphere de Venus ». La linea della deformazione massima e la congiungente dei centri variano incessantemente la loro posizione reciproca ed è naturale che se nell'un contatto coincidono, non coincideranno generalmente anche nel secondo.
Anche il Langley (50), nel passaggio di Venere del 1882, fu sorpreso dalla stessa asimmetria: “The centre of this bright marginal segment was estimated, from a rough sketch made at the telescope, as being about 30° on one side of a line joining the centres of the Sun and planet, and its asymmetrical position with reference to the horns was conspicuous ». Ed il Wright (51), nella sua relazione del passaggio di Venere del 1874: « ... this halo (dopo il terzo contatto) gradually became brighter and was not so uniform as at ingress, but most distinguishable on the NE quadrant of the planet. L'Onslow (52) nello stesso passaggio del 1874 illustra con due bellissime figure, meglio che con la descrizione verbale, questo carattere di asimmetria dell'aureola fuori del Sole. Degne di nota mi sembrano pure le parole del Puiseux (53), dalle quali io desumo che l'aspetto da lui descritto possa rappresentarsi con la fig. 44: « Le fond du ciel est bleu, les images sont brillantes et calmes. Un quart environ du disque de Vénus est déjà sur le Soleil. Le cornes se terminent avec une netteté parlaite, mais de leur extrémité se détache une auréole pále qui entoure Vénus sur une étendue de 5° á 6° vers l'extérieur, à partir des pointes d'intersection de sa circonférence avec celle du Soleil. Je m'assure à plusieures reprises que l'arc lumineux n'est pas complet. Je substitue au grossissement de 110 employé jusqu'ici, un oculaire grossissant 160 fois. L'aspect du phénomène n'est pas modifié, non plus que par l'emploi d'un partie plus sombre du verre gradué ».
Una simile forma dell'aureola era stata veduta fin dal 1761 intorno a Venere da B. Wilson (54), fig. 45. E se ne potrebbero citare degli altri ancora. Nessun osservatore però salvo il Russell e lo Schiaparelli accennano alla temperata oscurità del cielo in paragone del Pianeta, condizione essenziale per la apparizione di quest'aureola. Il Russell (55) dieci minuti dopo il primo contatto vide: « the whole of the planet... that portion of it without the Sun, appearing on the bright sky near the Sun's limb »; e dopo altri cinque minuti vide la aureola. Ne dà la figura. E che il cielo sia stato meno scuro del Pianeta durante l'osservazione dello Schiaparelli (56) (Venere 1882), lo si deduce dal fatto, che egli osservó senza proteggere l'occhio con oscuratori: “ A partire da quel punto” (cioè dopo il primo contatto) « fu attraverso il buco delle nuvole un continuo movimento di vapori più o meno densi. Quando il Pianeta fu mezzo entrato, un intervallo di maggiore lucidità mi permise di vedere l'atmosfera di Venere sotto forma d'arco luminoso nella parte oscura fuori del sole ».
I sostenitori delle teorie precedenti non hanno nemmeno tentato di spiegare la presenza di quest'aureola, mentre gli osservatori l'attribuirono senz'altro all'atmosfera del Pianeta, ipotesi sommamente improbabile, considerati i vari spessori che essa mostra.
Appendice di Stuyvaert e Lagrange - Anche questa forma, che gli scrupolosi astronomi belgi, pubblicarono coraggiosamente tale e quale avevano veduta, sebbene paradossale d'aspetto, non è che una conseguenza logica della medesima causa, che è servita a spiegare le altre fasi, e si verifica con tanta maggior evidenza quanto più la linea di deformazione massima diverge dalla congiungente dei centri. Nella fig. 33 questa divergenza è di 45°. Lo Stuyvaert (57) dice delle sue figure: « La corne septentrionale (del Sole s'intende) se termine en deux dents ed forme de scie » ed il Lagrange (58): « La corne inferieure du Soleil empiète sur Venus tout en restant parfaitement geometrique ».
"Bolgia" di Vessey - Un'inclinazione di 60° della linea di deformazione massima, rispetto alla congiungente dei centri, determina, nell'estremo lembo del Pianeta proiettantesi sul Sole, l'aspetto della fig. 46; essa mostra, in iscala esagerata, l'essenza dei rigonfiamento asimmetrico che il Vessey (Venere 1864) (59) chiamò « bulge » ed illustrò con le figure 47 e 48, descrivendole così: « fig. 47 ... the planet slightly flattened on that portion of the limb nearest the Sun's centre, and with a slight bulge near the northern termination of the limb » e: fig. 48 . . Venus was not quite circular, the curve of the planet's limb being slightly flattened on the eastern side, with a slight bulge on the western side ».
Incostanza ed intermittenza del fenomeno - Ai primi critici delle osservazioni di contatti parve strano che alcuni astronomi vedessero le fasi della goccia ed altri, pur cercandole, non le trovassero, e più strano ancora che il medesimo osservatore, veduto il fenomeno in un passaggio, non lo rivedesse nel successivo (60); ma è ancor più notevole e punto infrequente il caso (vedi la Tabella statistica di pag. 43) di uno stesso osservatore, munito dello stesso strumento, che dei due contatti interni, vede l'uno turbato dalla apparizione della goccia e l'altro perfettamente geometrico, o viceversa. La fig. 9 mostra la configurazione ideale perchè nel contatto I° il fenomeno raggiunga un massimo e nel II° sia nullo, e ciò si ottiene quando la linea della deformazione massima AA' nel primo caso coincida con la congiungente dei centri, nel secondo sia a questa ortogonale. Se queste due ultime linee formassero in entrambi i contatti un angolo identico la durata del contatto sarebbe uguale nell'uno e nell'altro; altrimenti le durate saranno diverse. Dall' elenco delle durate dei contatti interni nei passaggi di Venere del 1761 e 1769 compilato dal Dubois (61) tolgo per esempio i seguenti tempi, relativi ad osservazioni del 1769:
ingresso | egresso | |
Hell | 06s | 11s |
Green | 40s | 48s |
Cook | 60s | 32s |
Maggior differenza riscontrasi nei seguenti tempi relativi al passaggio di Venere del 1874 (62):
ingresso | egresso | |
Ellery | 1m 30s | 2m 22s |
Whyte | 2m 02s | 1m 52s |
Wilson | 1m 40s | 1m 55s |
Abbastanza frequente è pure il caso di osservatori che videro la « goccia » in uno solo dei due contatti: l'Heraud (63), sia nel passaggio di Venere del 1874, sia in quello dei 1882 la vide soltanto nel primo contatto. Il Whyte (64), durante il passaggio di Mercurio del 1881: « When about two thirds of the planet had entered on the Sun's disc, it assumed a pear shape », e quindi: « At egress the definition was exceedingly good; the contacts were formed without distortion or clinging ». Il Moerlin (65) nel medesimo passaggio notò nel primo contatto: «... a cloudiness between the edge of the Sun and the Planet, before a complete separation took place », e quindi: « the contacts at egress I consider good, no ligament or bead having been seen, but a clear and comparatively sharp contact »; e finalmente lo Storey (66), nel passaggio di Mercurio del 1914, osserva: « The first internal contact was well seen, the black drop phaenomenon being very persistent »; mentre del secondo contatto interno avverte: « the contact was noted on this occasion as quite clear, no ligament of any kind being visible ».
Prima di chiudere questo capitolo debbo accennare ad un caso d'intermittente apparizione del legamento, che prima si mostró e poi si sottrasse alla vista dell'osservatore; questi attribuì il fatto all'agitazione dell'atmosfera, mentre l’intermittenza non può mancare per l'osservatore astigmatico, quando durante l'osservazione muti la posizione del capo e con esso la linea degli occhi, come è naturale che succeda a chi sia costretto a rimanere lungamente in posizione incomoda, col capo, e con la persona.
Il Russell (67), difatti, in due figure successive dell'egresso di Venere (1874), fa vedere chiaramente la presenza della «goccia» nell'una, mentre nell'altra il disco di Venere (più vicino al bordo solare che non nell'istante precedente), è separato da questo da un intervallo nitidissimo; e se le figure non bastassero, ecco le sue parole: « During one of these (moments of bad definition) at 3h 53m 53s, 59 the limb of the planet nearest the Sun's limb seemed to be in a state of vibration, as if portion of its blackness were jumping over to the Sun, which lasted only a few seconds, the vibrations being estimated at 6 or 7 per second (68); after this the limbs recovered their perfect definition (69) and were clearly and steadily separated by a line of light, which at 3h 54m 26s, 30 could not have been more than half a second of arc in thickness » dove non si può far a meno di meravigliarsi, che ad un'agitazione atmosferica, come quella che produsse la prima figura, potesse succedere dopo soli 32 secondi una tranquillità tale da conservare all'uno ed all'altro lembo la perfetta definizione.
Statistica delle osservazioni - La Tabella numerica della pagina seguente contiene lo spoglio statistico di 504 descrizioni di passaggi di Mercurio e di Venere sul disco solare, ed abbraccia i quattro ultimi passaggi di Venere e gli ultimi 7 di Mercurio, a partire dall'anno 1868. L'incertezza suscitata nell'osservatore dalla novità e varietà dello spettacolo si trasfonde, nel momento di stendere la descrizione, anche alla parola del narratore, e troppo spesso ci s'imbatte in affermazioni di fatti contradditori, che ne rendono difficile la classificazione. Ricordo il caso di molti che negano d'aver veduto la «goccia», mentre d'altro canto dànno due o tre tempi, comprendenti alle volte 60 sec e più, per le durate dei contatti, i quali contatti dovrebbero durare invece teoricamente un attimo, o qualche secondo al massimo, per occhi anastigmatici e dotati di sensibilità normale. Questi casi contradditori furono compresi nella colonna con l'intestazione della « goccia veduta ». Ho tralasciato di tener conto particolare di quelli che videro la «goccia» nell'uno e nell'altro contatto poichè questi sono compresi nella colonna intestata: « maggior durata nell'uno che nell'altro », non essendomi occorso mai d'incontrare due tempi identici, per la durata dell'ingresso e dell'egresso. La Tabella non ha bisogno d'altri schiarimenti, e si pensi che, essendo molteplici le cause naturali ed artificiali che influiscono sulla maggior o minor visibilitá del fenomeno, sarebbe imprudente voler ricavare da un ragguaglio numerico conclusioni che esso non puó dare.
CAPO III. CALCOLO DELLA DURATA DEL FENOMENO
Quantità della deformazione secondo le diottrie d'astigmatismo Nell'occhio schematico, composto di due soli mezzi, che il Listing chiamó ridotto, l'unica superficie rifrangente ha il raggio di curvatura di mm 5,117 (70). Con un tale raggio, e posti gli indici di rifrazione dell'aria e dell'umor vitreo:
n = 1, n1 = 1,3465, si ricava dalla nota formula : f1 = n.r /( n1 – n) la distanza del secondo fuoco: f1 = 19,88 mm;
se a questa distanza dalla superficie rifrangente si troverà la retina, l'occhio sarà emmetropico ossia raggi provenienti, da un punto infinitamente lontano convergeranno senz'accomodamento sopra di essa in un'immagine puntiforme. Per l'occhio astigmatico invece, la superficie rifrangente sia torica ed il raggio di curvatura: r = 5,117 mm e la rispettiva distanza focale f1 = 19,88 competano soltanto alla sezione orizzontale (linea degli occhi) di detta superficie; quella verticale sia dotata invece di curvatura più sensibile. Nella seguente tabellina sono considerati raggi e fuochi della sezione verticale sempre più brevi, a partire dal caso I, in cui il raggio è identico a quello della sezione orizzontale, come nella superficie ideale perfettamente sferica. Con la formola consueta (71):
(n1 / x1) – (n/x) = (n1 - n ) / r
si ricava il valore del raggio di curvatura "r" della sezione verticale, quando il punctum remotum sia, rispettivamente: x = -8, -4 - .. -1 metri; in questi casi si dirà che l'astigmatismo dell'osservatore, ferma restando la curvatura emmetropica della sezione orizzontale, è di 1/8, 1/4 ... 1 diottrie. Le distanze dei secondi fuochi corrispondenti ai raggi considerati, sono contenuti nella colonna, con l'intestazione f1.
Come si vede nella fig. 1 la grandezza del segmento rettilineo f'f'' = 2 A è direttamente proporzionale, tanto alla lunghezza dell'arco OD (ossia al raggio della pupilla considerato qui = ad 1 mm), quanto al rapporto tra le distanze OF, Of. La tabellina precedente contiene nelle due ultime colonne i valori di A in millimetri ed in secondi d'arco, corrispondenti al difetto d'astigmatismo contemplato nei casi I ... V.
Durata del fenomeno - Poiché da pochissimi osservatori fu veduta la prima fase del fenomeno, vale a dire quella del lembo staccato, s'intese generalmente per durata dei fenomeno nell'egresso, l'intervallo tra il formarsi istantaneo del legamento sottilissimo fig. 18 ed il cosiddetto contatto geometrico fig. 24; viceversa per l'ingresso l'intervallo tra il contatto geometrico ed il fulmineo irrompere della luce, tra il bordo dei Pianeta e lo sfondo del cielo.
Il detto ìntervallo è rappresentato geometricamente nella fig. 10 dal segmento x, congiungente i centri O ed O' della circonferenza latente del Pianeta, nei momenti di tangenza col lembo apparente e col lembo vero del Sole. Anche in questa figura i lembi veri sono linee continue, i latenti segmentate, e gli apparenti, punteggiate. I dati per la determinazione del segmento x sono:
R = raggio dei disco solare apparente
r = raggio del disco planetario apparente
= angolo racchiuso tra la linea di deformazione radiale massima e la traiettoria del Pianeta rispetto al Sole, considerato immobile
= angolo alla periferia del bordo vero dei Sole, compreso tra il raggio R e la traiettoria
Con questi dati si calcolano gli angoli ausiliari , , , ed i segmenti N ed x, ottenendosi successivamente:
e poichè é nota la velocità del Pianeta rispetto al Sole, considerato immobile, si ricava immediatamente la durata del fenomeno. Ma chi cerca l'accordo tra l'osservazione ed il calcolo bisogna che non dimentichi, che, mentre il formarsi o lo scomparire della goccia si osserva con tutta la precisione possibile e succede in un attimo, che non per nulla i primi osservatori chiamarono fulmen, invece il cosiddetto contatto geometrico, o tangenza dei dischi, è un’espressione molto meno precisa per l'occhio fortemente astigmatico, avendo perduto del tutto il Pianeta in quel momento, fig.24, l'aspetto d'un circolo; quindi anche l'indicazione di tangenza é piuttosto arbitraria e meglio si direbbe il risultato d'una congettura, che non d'una vera e propria osservazione.
Astigmatismo dell'astronomo G. Van Biesbroeck, dedotto dalle sue osservazioni
Gli astronomi dell'Osservatorio di Uccle, nel misurare i diametri del disco di Mercurio, durante il suo penultimo passaggio dei 1907, ebbero il geniale presentimento, che sulla misura di questa lunghezza, influisse in qualche modo l'inclinazione della linea degli occhi; ogni loro misura è accompagnata quindi dall'avvertimento che la linea degli occhi era parallela, oppure perpendicolare, alla coppia di fili micrometrici, tangenti al disco del Pianeta, dalla distanza dei quali si deduceva la lunghezza del suo diametro (72).
Lo scopo a cui miravano quegli astronomi era quello di scoprire se il globo di Mercurio fosse schiacciato, e per convincersene, essi misurarono parecchi diametri del Pianeta sotto vari angoli di posizione; attenendosi al programma, ogni diametro fu misurato, sia con la linea degli occhi parallela, sia perpendicolare ai fili micrometrici. E si trovò che la lunghezza d'un medesimo diametro variava, se la linea degli occhi da perpendicolare si faceva parallela ai fili micrometrici e viceversa, mentre due diametri, pur ortogonali, presentavano la medesima lunghezza, se la linea degli occhi era rispetto ad entrambi sempre parallela, oppure sempre perpendicolare; donde essi giunsero all'importante conclusione, che il disco del Pianeta era sensibilmente circolare.
Ma essi dimostrarono oltre a ció un fatto, non meno importante per il problema nostro, vale a dire che lo schiacciamento apparente del Pianeta, di cui abbiamo tante testimonianze fig. 12, 13 dipende dalla posizione della linea degli occhi e quindi dalla conformazione dell'occhio, od in altre parole dall'astigmatismo dell'osservatore.
Mi proposi allora di esaminare gli elementi forniti dagli astronomi belgi, per vedere se fossero sufficienti alla determinazione dei loro astigmatismi. Limitai intanto la ricerca all'astigmatismo dei Signor G. Van Biesbroeck, perché questi aveva veduto il fenomeno della goccia sia nell'ingresso che nell'egresso, ed oltre alle misure dei diametri planetari aveva eseguito una serie di misure sopra una sferetta metallica, imitante il Pianeta e collocata a 1351 metri di distanza dall'osservatore, « dans le but de rechercher les erreurs personnelles de ce genre d'observations et l'influence de l'irradiation de la lumière, qui a pour effet de diminuer le diamètre apparent de Mercure ». (73)
Trascrivo qui sotto le quattro osservazioni del doppio diametro di Mercurio, che egli eseguì all'Equatoriale di 38 cm. d'apertura (ridotto a 24,5) e l'ingrandimento 360, e da lui considerate le migliori della serie. Ad un giro 'R' della vite corrispondono 7,"842. Il segno - indica la perpendicolarità, il segno | il parallelismo della coppia dei fili micrometrici rispetto alla linea degli occhi:
Ad un occhio anastigmatico il doppio diametro dei Pianeta, espresso in giri della vite, sarebbe dovuto risultare di 2,5198r (essendone il raggio apparente in quel momento 4,99'') Le differenze 2,5198r - 2,060r = 0,4598r e 2,5198r - 2,050r = 0,4698r dimostrano intanto: i) che per il Signor Van Biesbroeck la linea della deformazione massima non coincide con la linea degli occhi, o con la sua ortogonale, poichè in questo caso una delle due differenze avrebbe dovuto essere nulla; ii) che la linea della deformazione massima deve racchiudere con la linea degli occhi un angolo maggiore che con la sua ortogonale; iii) che, tenuto conto del valore d'un giro della vite = 7, 881r il raggio di Mercurio, ingrandito 360 volte e perpendicolare alla linea degli occhi, gli appariva di 7" minore del suo ortogonale.
Dalle misure analoghe sulla sferetta artificiale (vedi a pag. 403 degli Ann. Brux. Tomo VI, Fasc. II) non si può ricavare il valore assoluto della differenza dei due diametri, mancando l'indicazione dell'oculare usato (il quale amplifica naturalmente soltanto il diametro dell’immagine e non la deformazione prodotta dall'astigmatismo); ma dalla considerazione dei due diametri:
Direzione | - : | doppio diametro | 1,549r |
>> | | : | >> | 1,507r |
Si vede subito che la linea della deformazione massima, come nelle misure dei diametri del Pianeta, risulta più lontana dalla linea degli occhi, che non dalla sua ortogonale. Un oculare di 90 ingr. condurrebbe anche qui al valore di 7" per la differenza tra i due diametri, identico a quello ottenuto precedentemente.
Questo metodo di misura dei diametri avrebbe condotto alla determinazione esatta dell'astigmatismo dell'osservatore, se egli avesse sperimentato il contegno della sua vista anche in posizione obliqua della linea degli occhi rispetto ai fili micrometrici, mentre l'osservazione delle due sole posizioni perpendicolare e parallela lasciano il problema necessariamente indeterminato, fornendo appena l’indicazione del quadrante ove giace la linea della deformazione massima, e noti l'angolo che essa racchiude con la linea degli occhi. Ma per buona sorte, in difetto delle misure in posizione obliqua, il Sig. Van Biesbroeck osservò il fenomeno della goccia, sia nell'ingresso che nell'egresso, e le durate di questo fenomeno, combinate con le misure dei diametri, nelle due posizioni perpendicolare e parallela, sono ugualmente sufficenti, come ora mostreró, alla determinazione del suo astigmatismo, con tutto il rigore consentito dalle osservazioni.
Ammesso che la linea degli occhi si sia mantenuta costantemente orizzontale durante l'osservazione dei due contatti interni, di cui si conoscono i tempi (75), coi valore della latitudine di Uccle è facile calcolare l'inclinazione della trajettoria del Pianeta rispetto al diametro orizzontale del Sole; essa risulta
nell'ingresso 34° 15'
nell'egresso 1° 20'.
Ora le incognite cercate, che sono: i) inclinazione della linea di deformazione massima rispetto alla linea degli occhi; 2) numero di diottrie d'astigmatismo dell'occhio osservante, dovevano risultar tali da giustificare, e la differenza di 7" tra i raggi dell'immagine di Mercurio, e la durata delle fasi della goccia (intervallo tra il contatto geometrico e la separazione dei dischi)
nell'ingresso . . . 16 sec.
nell'egresso . . . . 7 » (76)
Con prove successive trovai che a questi valori si giunge, ammettendo che nell'occhio osservante, la linea di deformazione massima fosse inclinata di 55° rispetto alla linea degli occhi (77), l'astigmatismo uguale ad 1/4 di diottria, ed il diametro della pupilla uguale a 2 mm. Tenuto conto dunque dell'oculare di 30 ingr., usato nell'osservazione dei contatti (78), e della velocità relativa di Mercurio nella sua orbita, rispetto al Sole immobile, v = 0'',103 al minuto secondo (79), il calcolo condotto sulle formole di pag. 46 fornisce i dati contenuti nella tabellina seguente, a fianco dei valori osservati:
Durata della goccia: ingresso |
Durata della goccia: egresso |
Diff. tra diam. – e diam. | |
|
Valori osservati |
16 sec. |
7” |
7” |
Valori calcolati |
15”, 1 |
6 s, 0 |
9”, 1 |
L'ipotesi fatta sulle incognite rappresenta dunque con inattesa precisione i valori osservati, e si conclude che l'occhio osservante doveva essere affetto da un leggiero astigmatismo, la cui correzione si sarebbe potuta ottenere con una lente cilindrica della seguente formola: (80)
Il Signor Van Biesbroeck, conosciuto il risultato del mio calcolo, ebbe la cortesia di mandarmi, con lettera del 25 marzo 1922, la formola relativa alla lente, ond'è armato il suo occhio sinistro, che egli usa sempre nell'osservare: Prescindendo dalle diottrie sferiche, la cui correzione si fa automaticamente con l'accomodamento dell'oculare, l'accordo nella qualità cilindrica delle due formole non lascia nulla a desiderare.
Dalla citata lettera del 25 marzo rilevo l'affermazione: «Depuis mes premières observations j'ai pris l'habitude d'employer seulement l'oeil gauche qui est meilleur, ecc.» e l'altra, in accordo con la mia ipotesi: «quant à l'observation du contact je suis presque súr aussi que je l’ai faite dans la position ordinaire de la téte, avee la ligne des yeux horizontale. Je n'ai pas ici mes livres d'observation et doute que j'ai noté ce point, mais ie ne crois pas que ma mémoire fasse défaut », e finalmente: «Jusqu'en 1918, quoique portant des verres pendant la journée, je ne m'en suis jamais servi pendant les observations ».
Si potrebbe obbiettare che le osservazioni di Mercurio risalgono al 1907, mentre il reperto dell'oculista e la formola citata è di undici anni posteriore, come dalla stessa lettera: « En 1918 mes yeux furent de nouveau examinés, cette fois avec très grand soin par un collégue de l'université », ma si sa che le sezioni di curvatura massima e minima non variano generalmente la loro posizione, mentre con l'andar degli anni si va affievolendo il potere accomodativo dell'occhio e non c'è nulla di straordinario nel fatto, che la mezza diottria d'astigmatismo, non più correggibile nel 1918 senza il soccorso di lenti, sia stata ridotta undici anni prima, col nerbo stesso del muscolo cilliare, ad un quarto di diottria.
Che nel 1907 1'occhio non fosse del tutto esente d'astigmatismo si rileva dalle parole dell'osservatore: « en 1907 je portais des verres spheriques, l’examen n'ayant pas accusé d'astygmatisme prononcé »; l’oculista non gli prescrisse lenti cilindríche perchè quella differenza di curvatura nell'uso ordinario dell'occhio è trascurabile, mentre nell'osservazione di contatti celesti produce, come s'è veduto, effetti apprezzabilissimi.
CAPO IV. CONTATTI ARTIFICIALI
Esperienze da laboratorio - L'esperienze eseguite da presso e senza il soccorso di telescopi, permettono di studiar bene la fase del lembo staccato, essenziale in questo fenomeno, con esagerarne l'effetto. Se i due corpi di cui si osservano i contatti sono a distanza identica dall'osservatore (o praticamente identica, com'è il caso di due corpi celesti) i lembi latenti dell'uno e dell'altro fig. 11 distano d'un'ugual quantità dai rispettivi lembi veri, e lo stesso dicasi degli apparenti, ma se le distanze dall'osservatore sono sensibilmente diverse, i detti lembi risultano piú vicini o più lontani ai rispettivi lembi veri, a seconda della distanza dei due corpi e della qualitá miopica od ipermetropica dell'occhio astigmatico osservante. Si consideri un'asse orizzontale, non illuminata limitata dallo spigolo vero SS fig. 49; all'occhio miope astigmatico essa apparirá sullo sfondo luminoso LL, col lembo apparente in S’S’ mentre il lembo latente S”S” resterà inavvertito fino all'appressarsi d'un altro corpo; se questo secondo corpo, poniamo il disco D, proiettandosi anch'esso sullo sfondo luminose LL, sarà più vicino all'occhio miope che non lo spigolo SS, l'intervallo tra il lembo apparente ed il latente dei disco apparirà minore che non sia lo stesso intervallo per il lembo apparente e latente dello spigolo, come si vede subito dalla fig. 2.
Di fatti se il puncturn remotum genera le rette focali F ed f; un punto più vicino le sposterà in F1 ed f1; ma allora i raggi estremi Af1 e Bf1 determineranno sulla retina del miope, il segmento MN invece dei primitivo GH con GH > MN e, come si doveva dimostrare i lembi apparenti e latenti dei corpo piú vicino saranno meno distanti dal lembo vero, che non sieno quelli del corpo più lontano;
Un ragionamento analogo dimostra che per l'occhio emmetrope, (ed a più forte ragione per l'ipermetrope), la cui retina s'immagina passante per il punto f della fig. 2, il corpo più vicino avrà i lembi più distanti, e lo spigolo (verticale in questo caso, perchè se fosse orizzontale l'effetto sai-ebbe nullo) più lontano, i lembi più vicini, come si vede dal confronto delle rette IK, corrispondenti al puncturri remoturn e QR al punto più vicino, essendo IK< QR. La conseguenza immediata di questi fatti è che il lembo staccato apparirá nella fig. 49 più vicina al disco, nella fig. So più vicina allo spigolo; apparenze frequentissime e che ognuno vede anche senza dispositívi speciali di laboratorio, ma badando, nel muoversi in casa o per via, ai continui contatti di spigoli verticali od orizzontali, semprechè le luci sieno favorevoli.
Che invece nelle Osservazioni celesti le distanze dei lembi appaiano identiche nei due astri, lo si desume anche dalla notevole constatazione del Baily (81): «When the ligament breaks, its motion at the moment of separation is so rapid that it is difficult, to discern, whether the broken part collapses to the planet or to the Sun's edge ». Non si può discernere se manchi prima da una parte che dall'altra, perchè manca da entrambe simultaneamente.
Le medesime esperienze da laboratorio con luci adeguate, riproducono anche la goccia e le aureole, onde appare circondato il Pianeta, sia immerso che emerso.
CONCLUSIONE
Percorrendo nelle Tavole III, IV, V, la serie osservata delle trasformazioni, che il torturato disco del Pianeta subisce, in immediata adiacenza del lembo solare, e confrontandole con gli effetti della diffrazione e dell'irradiazione, da altri invocate, si conclude che queste due cause, pur capaci di spiegare la presenza di ombre tra un lembo e l'altro dei due dischi vicinissimi, sono impotenti nel giustificare: 1) la formazione del lembo staccato coi relativi intervalli chiari, (cosa contrarissima sia alla diffrazione, sia all'irradiazione), 2) l'appendice di Stuyavaert e Lagrange, 3) la bolgia di Vessey, 4) l'aureola dentro e fuori del Sole, 5) gli spessori diversi di detta aureola e la sua asimmetria rispetto alla congiungente dei centri, 6) l'apparire e il non apparire di questi fenomeni a piú osservatori, pur usanti gl'identici mezzi, 7) l'apparire e il non apparire al medesimo osservatore, che usa lo stesso mezzo in transiti diversi, od anche nell'ingresso e nell egresso d'uno stesso transito e via dicendo. Ancor meno efficace delle due cause or ora ricordate sarebbe il soccorso d'un'ipotetica atmosfera planetaria, la cui presenza da nessuno fu dimostrata per altra via, e che é resa sommamente inverosimile dall'esagerata altezza che dovrebbe raggiungere secondo le osservazioni; la quale altezza non risulterebbe uguale rispetto a tutte le verticali della superficie del Pianeta, ma coi massimi e minimi ad un quadrante di distanza, e per di più, massimi e minimi variabili di posizione a seconda dell'osservatore.
Lo stesso dicasi del voler attribuire al capriccio dell'agitazione atmosferica terrestre, il regolare succedersi di fasi tipiche e vedute centinaia di volte, in condizioni meteorologiche eccellenti, per dichiarazione esplicita di tanti osservatori.
Molto più vicini alla vera causa giunsero quelli che incolparono genericamente delle deformazioni osservate, gl'imperfetti mezzi ottici usati: noi abbiamo attribuito quest'effetto all'astigmatismo dell'occhio, poichè del tutto privi ce n'è pochissimi, ma anche l'occhio sferico vedrebbe i medesimi effetti di deformazione, se una qualunque superficie rifrangente dello strumento usato, sia del sistema obbiettivo che dell'oculare, non fosse rigorosamente sferica; col progredire dell'industria ottica, questo caso d'imperfezione si fa sempre meno frequente, ma non è improbabile che le deformazioni osservate nei primi passaggi di Venere, del secolo XVIII, sieno dipese anche dall'astigmatismo dei vetri.
A questo astigmatismo istrumentale dovrebbero attribuirsi aspetti di legamento, fotografati, se pur si possa ammettere che tali aspetti, illustrati da qualche autore (82), abbiano qualche parentela, con le fasi di cui finora ci siamo occupati, e non derivino piuttosto dalle ben note cause di diffusione della pellicola sensibile; ma non avendo io veduto alcuna lastra riproducente astri a contatto, non posso esprimere a questo proposito alcun giudizio. L'astronomo deve conoscere dunque il grado del suo astigmatismo e correggerlo con lenti ben calcolate, ogni qualvolta s'accinge ad osservare contatti (sia lembi con fili micrometrici, sia lembi con lembi, occultazioni (83) ecclissi (84) ecc.); allora soltanto avranno significato parole pur tanto usate, quali: « contatto geometrico», «momento del contatto » e cosí via.
Se il difetto d'astigmatismo è piccolo la correzione potrà farsi anche senza il sussidio di lenti, purché l'astronomo abbia l'avvertenza, nel « mettere a fuoco », di guardare l’immagine attraverso una fessura sottile coincidente con la sezione di raggio minimo del suo occhio, il quale, con la facoltà d'accomodamento che gli é propria, porterà sulla retina, rimossa la fessura, anche il fuoco della sezione di raggio massimo.
Un astronomo che, sebbene per altro scopo, abbia corretto la sua vista durante il passaggio di Mercurio dell'anno 1891 fu il Cerasky (84); dinanzi ad un oculare galileiano di sua costruzione, egli collocò un diaframma strettissimo: « Un petit trou est percé dans le disque » (disco coprente l'oculare) « devant le centre de la lentille »; questo trou fungeva da foro stenopeico, onde com' è noto, si ottiene molto approssimativamente l'effetto correttivo della lente cilindrica, e difatti lo spettacolo, per dichiarazione dello stesso osservatore, fu esente da ogni deformazione: « Le contact interieur a été très bien observé ... il n' y avait acune goutte noire et le contact s'est fait avec une simplicitè geometrique ».
Così la credenza diffusa generalmente (86), che strumenti di maggior potenza tolgano all'osservazione dei contatti l’imperfezione della goccia, trova la sua ragione in queste due circostanze: 1) Il fascio luminoso emergente dall'oculare, sempre più sottile col crescere dell'ingrandimento, interseca aree della pupilla e delle superficie rifrangenti dell'occhio sempre più anguste, e quindi più prossime alla forma sferica; 2) L'ingrandimento che amplifica l’immagine dell'astro e ne aumenta la velocità, non aumenta lo spessore della deformazione, dipendente soltanto dall'astigmatismo, quindi col crescere dell'ingrandimento, sempre più fugace la sovrapposizione ed il contatto dei lembi deformati.
L'abitudine di liberare gli occhi dalle lenti nell'accingersi all'osservazione è dannosa per l'astronomo astigmatico; essa è servita tuttavia a mettere in luce quella, che, secondo l'opinione mia, è la causa principale del fenomeno: e qui vanno rese speciali grazie a quegli scrupolosi e coraggiosi osservatori, della cui opera ho tratto il maggior profitto, i quali, noncuranti della verosimiglianza, non si peritarono di divulgare descrizioni ed illustrazioni, piene di verità, per quanto stravaganti nell'apparenza.
Bologna, li 29 maggio 1922
(1)Venere fu osservata per la prima volta sul disco solare da Geremia Horrox nell'anno 1639; i passaggi successivi avvennero negli anni 1761, 1769, 1874, 1882; i prossimi avranno luogo nel 2004 e 2012. I passaggi di Mercurio, più frequenti di quelli di Venere, ricorrono 6 volte in 43 anni. Il primo fu osservato da P. Gassendi nel 1631 il prossimo si vedrà nel 1924.
(2) Die Bildung des sogenannte schwarzen Tropfens beim Venusübergang. H. G. van de Sande Backhuyzen, in: A. N. Vol. 83, N. 1988 pag. 305.
(3) ... « Über die Entstehung dieser Erscheinung herrschten längere Zeit die verschiedensten Ansichten; heutzutage ist man sich jedoch darüber im klaren, dass es sich dabei um eine Diffraktionserscheinigung handelt, die grösstenteils zum Verschwinden gebracht wird, wenn das Objektiv des benutzten Fernrohres eine nicht zu kleine Öffnung besitzt» [Trad: « ... Circa l'origine di questo fatto hanno dominato per lungo tempo le più diverse opinioni; al giorno d'oggi si è tuttavia sicuri che si tratti di una figura di diffrazione, che in massima parte scompare qualora l'obiettivo del cannocchiale adoperato abbia un'apertura non troppo piccola. ». Newcomb-Engelmann, Pop. Astr. VI edizione 1921, pag. 188.
(4) e (5), A. N. l. c. pag. 310.
(6) Mémoire sur la théorie de la vision, Ch. Sturm. C. R. Tomo XX, I sem. 1845 pag. 554.
(7) I disegni di p.57 e delle Tavole N. III, IV, V, furono preparati per la riproduzione dal Sig. Aldo Mazzoni, Tenente del Genio, cui si deve pure l'esecuzione ugualmente accurata delle Tav. N. I, II del fascicolo precedente.
(8)Phil. Trans, per l'anno 1700 p.500. Vedi anche: M. R. A. S. Vol. X p. 25. Strumento acromalico di 5 piedi d. f.
(9) M. R. A. S. Vol. XLVII pag. 42 e P1. I fig. 6; obbiettivo di 4,5 poll. ed ingrandimento 145.
(10)Ann. Brux. Nouv. Série Vol V. 1885.
(11) ib. Pl. I fig. 2. Cannocchiale di Fraunhofer di 3 poll. ingr. 90.
(12) Ann. Brux. ì885 Pl. I fig. 15. Cannocchiale di 9 cm. ap.; ingr. i6o.
(13) ib. pag. 121.
(14) A. N. Vol. 128 pag. 26; equatoriale di 4 1/2 poll. ingr. 120.
(15) A. N. Vol. 104 N. 2489 pag. 259.
(16)Report of the Canadian Observ. of the Transit of Venus, 6 dec. 1882, pag. 15.
(17) A. N. Vol. 92, N. 2202 pag. 283.
(18) Per quanto riguarda queste durate eccessive, vedi, p. e.: Transit of Venus 1874, Observ. at Eden by the Rev. Wm. Scott M. A. in: M.R. A. S. Vol. XLVII pag. 79 e segg.; ed anche: Observ. of the Transit of Venus 1882, made at Glasgow by R. Grant in: M. N. Vol. XLIII pag. 62
(19) Mercursdurchgang 1878. A. N. Vol. 103, pag. 100. Rifrattore di Fraunhofer, 117 mill. ap:; ingr. 120.
(20) M. R. A. S. Vol. XLVII, pag. 47 e Pl. I Fig. 10.
(21) MRAS. ibid. Pl. I fig. 3 (Ellery) Equatoriale 8 poll. ingr. 125. ; ibid. Pl. I fig. 8 (Moerlin) Equatoriale 6 1/2 poll. ingr. 120. ; ibid. Pl. II fig. 2 (Russell) Equat. 11 3/8 poll. (ridotto a 5 poll.) ingr. 100.
(22) C. R. 1883 Vol. 97, pag. 411.
(23) M. N. Vol. XXIX pag. 27.
(24) ib. » 14.
(25) ib. » 13.
(26) ib. » 14
(27) ib. » 15.
(28) M. N. Vol. XLII pag. 253.
(29) M. R. A. S. Vol. XLVII pag. 74.
(30) A. N. Vol. 92, N. 2199 pag. 237.
(31) A. N. Vol. 72 N. 1726 pag. 347.
(32) MRAS. Vol. XLVII pag. 64 , e Pl. III fig. 2. Rifrattore di Schroeter 4 ¾ poll.(ridotto a 4 poll.) ing. 96.
(33) Il passaggio di Venere (1874) osservato a Muddapur nel Bengala.
(34) M. N. Vol. XXIX pag. 25,
(35) M. N. Vol. XXIX pag. 57.
(36) A N. Vol. XXXVIII pag. 400.
(37) A. N. Vol. 105 pag. 261.
(38) A. N. Vol. 92, pag. 299
(39) A. N. Vol. 73 pag. 78.
(40) Bull Franc. 1907 pag. 539.
(41) M. R. A. S. Vol. XLVII pag. 46.
(42) M. N. Vol. XXXVIII pag. 402.
(43) Phil. Trans. per il 1769 pag. 284, XXXIX.
(44) Phil. Trans. per il 1769 pag. 262 XXXVI Tav. XIII.
(45) Phil. Trans. Per il 1769 pag. 405.
(46) M. N. Vol. LXXV pag. 31,
(47) Ann. BeIg. Tomo V, pag. 121 e Tav. 1, Fig. 11 e 18.
(48) M. R. A. S. Vol. XLVII pag. 85 e Pl. IV fig. 1 e 3.
(49) A. N. Vol. 105, pag. 231.
(50) M. N. Vol. XLIII pag. 72.
(51) M. R. A. S. Vol. XLVII pag. 59.
(52) ibid. Tav. li Fig. 14 C 15
(53) C. R. 1883 Vol. 97 pag. 382.
(54) Phil Trans. per il 1761 pag. 228 Tav. VIII Fig? 3.
(55) MRAS. Vol. XLVII pag. 50.
(56) Rend. Lomb. Serie II Vol. XV fasc. XIX.
(57) Ann. Brux. Nouv. série Tomo V pag. 52 P1. 1. fig. 5 e 6.
(58) ibid. pag. 120 P1. 1. fig. 12 e 13.
(59) M. R. A. S. Vol. XLVII, pag. 64 e Pl. III, fig. 1 e 13.
(60) Baily : MRAS. Vol. 10 pag. 25.
(61) E. Dubois : Les passages de Vénus sur le disque solaire Paris. 1873, pag. 210.
(62) M. R. A. S. Vol. XLVII pag. 32, 40, 41.
(63) C. R. 25 genn. 1875 e Vol. 97 pag. 360, 1883.
(64) M.. N. Vol. XLII pag. 102,
(65) ibidem.
(66) M.N. Vol. LXXV pag. 34.
(67) MRAS. Vol. XLVII pag. 52 e Tav. Il fig. 2 e 3.
(68) MRAS. Vol. XLVII Tav. II fig. 2.
(69) ibidem fig. 3
(70) Vedi G. FERRARIS: Le proprietà cardinali degli strumenti diottrici. Torino 1877
(71) ibidem pag. 12.
(72) Ami. Belg. Tomo XI fasc. 2, 1908 pag. 400.
(73) Ann. Belg. Tomo XI fasc. 2, 1908, pag. 403.
(74) Ciascun valore è la media di 8 misure
(75) Ann. Brux. Tomo XI fasc. II. 1908 pag. 392.
(76) ibidem.
(77) Secondo la convenzione internazionale, l'origine dell'angolo, che l'asse dei cilindro correttivo dell'astigmatismo forma con la linea degli occhi, s' immagina all'estremità destra dell'occhio del paziente, e la rotazione positiva dalla detta estremitá verso il basso. L'asse del cilindro forma naturalmente un angolo retto con la linea di deformazione massima.
(78) Ann. Brux. I. c
(79) Conn. d. T. per il 1907, pag. 535
(80) Nota (3) a pag. 49.
(81) M. R. A. S. Vol. 10 pag. 25.
(82) Ch. André et M.A. Angot : "Origine du 'ligament noir' dans les passages de Vénus et de Mercure", in Ann. Norm. Deuxième série, Tomo X, 1861, pag. 376 ; ed anche in : M.N. Vol. XXXVII, pag. 396.
(83) L. RESPIGHI : Sopra alcuni straordinari fenomeni osservati nelle occultazioni delle stelle sotto il disco della Lima. Mem. Bol. Vol. XI.
(84) F. Bailly On a remarkable phenomenon that occurs in total and anular eclipses of the Sun. in MRAS. Vol. 10 pag. 1.
(85) A. N. Vol. 128 pag. 27.
(86) Vedi la nota 3.
3.